Bettini nella California di fine '700 per un giallo tra storia e teologia
"In fondo al cuore, eccellenza" di Maurizio Bettini
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Ci sono molti modi per arrivare in fondo al cuore dell'uomo, agli antri della memoria inconscia che secondo Sant' Agostino racchiudono sempre la verità. E poiché la verità è spesso pericolosa, e sovente coinvolge le sorti delle nazioni e dei popoli, può capitare che in fondo al cuore dell'uomo si arrivi con una lama, per scoprire che cosa vi è impresso. Oppure' il cuore può venire scandagliato dal bisturi impalpabile di quella che oggi si chiama psicoanalisi e un tempo si chiamava confessione. Un'arma che secoli fa sapevano adoperare magistralmente gli esponenti di una Società potentissima, che venne disciolta nel Settecento per il suo troppo grande potere sui segreti dei prìncipi. Ma il massimo dei segreti, che si cela spesso perfino al cuore dei potenti, è che cosa mai generi il potere, e soprattutto che cosa lo conservi. Segreto che fa gola a molti e che di quell'antica, segreta Società aveva fatto la fortuna. «Il potere nasce dalla distanza ed è mantenuto dalla rinunzia. Per questo lo si trova, al massimo della sua purezza, nella Chiesa di Roma, e soprattutto lo si trovava nella Compagnia di Gesù», scrive nel suo nuovo romanzo Maurizio Bettini, antichista, filologo, antropologo, con un credito formativo presso i gesuiti e una scrittura dal ritmo indiavolato. «In fondo al cuore, eccellenza» è un giallo teologico-antropologico, un romanzo storico-spionistico ambientato nell'Alta California della fine del Settecento. E' fatto di fantasia mitico fiabesca e di esperienza personale: Bettini, professore a Berkeley oltreché in Italia, appassionato dì archeologia del Nuovo Mondo, conosce a menadito i luoghi che descrive. Mescola abilità narrativa e arte allusiva, innestando nel giallo un altro giallo, metaletterario. Eguagliando e secondo noi superando il «Nome della rosa di Eco», «In fondo al cuore» è, oltreché un libro divertentissimo, un mosaico a chiave, un'enciclopedia beffarda di citazioni e allusioni alla saggezza della letteratura antica e moderna e alle follie dell'attualità, che lasceremo al lettore il piacere di reperire e decifrare. Come dare un'idea di questo mirabolante ma anche complicatissimo congegno narrativo? Potremmo partire, forse, dalla letteratura russa. Ricordate il Grande Inquisitore nei «Fratelli Karamazov» di Dostoevskij? Immaginate di dargli un volto ieratico e aquilino, una conversazione da uomo di mondo e insieme da mistico, smagliante e profonda, intrisa di sottigliezza machiavellica e dì sapienza teologica, di ironia e di psicologia. Riempite il suo prezioso bagaglio di antichi libri e ponete la sua alta e sottile figura nerovestita, i capelli al vento, su una nave che lo sbarca, in qualità di fuggiasco e insieme di antropologo, nella missione india di Monterey alla fine del Settecento, quando la Compagnia di Gesù è disciolta ovunque ma non in Russia, e dove misteriosi emissari della Grande Caterina discendono al galoppo dalle basi baleniere russe dell'Alaska, brandendo la sciabola e seminando strage, pur di proteggere l'ex gesuita e il grande segreto politico che custodisce – dove? In fondo al cuore, naturalmente. Ma il cuore di un gesuita non può essere frugato da altra lama se non quella che lui stesso padroneggia: l'analisi psicologica, la confessione. A questo Don Quichote dell'antropologia affiancate un prosaico Sancho, a questo Don Giovanni della teologia un carnale Leporello. Mettete al servizio del nostro Grande Inquisitore déguisé, il cui cammino è cosparso di cadaveri, un cerusico nano andaluso esperto di lame e di fisiognomica, ignorante come una capra e furbo come una faina, spia e sicario di una Segreta quanto eminentissima Potenza, forse dello stesso Soglio di Pietro. Il servitore e potenziale carnefice diverrà inconsciamente discepolo e alla fine verrà iniziato, e insieme beffato, dall'arte dialettica del Padre gesuita, tramutatosi da vittima in maestro - maestro di cosa? Delle profondità del cuore, naturalmente. Sotto il cielo blu indaco dell'Alta California, in mezzo agli indiani idolatri (che per professio fidei l'antropologo del mondo antico ritiene simili ai nostri progenitori della Roma pagana: vedi p. 97), in un crescendo di colpi di scena, la trama si popola di una varietà di storie, oggetti e personaggi che solo la conoscenza perfetta del passato e l'attitudine metodica alla documentazione acquisita dal filologo possono aver consentito all'autore di disegnare, per la delizia del lettore, così vividamente: un organo a barile, una scimmia, una sacca con inciso un enigmatico motto latino di Ignazio di Loyola; un lussurioso Conte senese dal cuore squarciato; una strage di lontre; un superiore francescano che agonizza come Papa Luciani, stringendo l’imitazione di Cristo; una ballerina del Rio della Piata; una levatrice del Re di Spagna; un Cardillo di cuoio; un Cavaliere scita; un fascio di Istruzioni segrete che alludono al mistero degli egizi philetai; un corteo di scienziati francesi dai grandi cappelli e dalle lunghe palandrane, rifulgenti del vetro e dell'ottone del loro armamentario; una quercia velenosa; una nave-biblioteca denominata Astrolabe; un'eclissi di sole; un fandango; un'utopia comunista in Paraguay; un mozzo biondo e bello come un arcangelo; una chitarra battente; una principessa turca in esilio; un quadro trafugato del Tiepolo - raffigurante cosa? Il Sacro Cuore, naturalmente.