Apollo? Davvero un cattivo ragazzo
Marcel Detienne svela la faccia nascosta del dio prediletto da Platone
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Un dio che officia di notte, un cattivo ragazzo che violenta la sua profetessa, un «Bell'Omicida»; Apollo l'Obliquo, il Tortuoso, l'Impuro, ii Signore dei Topi, scambia continuamente le sue maschere con un presunto antagonista, Dioniso, Ne parla il nuovo libro di Marcel Detienne, Apollon le couteau a la main, appena uscito in Francia da Gallimard, che l'autore presenta oggi al Centro Antropologia e Mondo Antico dell'Università di Siena, per poi continuare le sue conferenze a Milano, al Centro Culturel Francais e all'Università Statale, giovedì e venerdì. Al grande studioso del mito, fondatore con Jean-Pierre Vernant e Pierre Vidal-Naquet dell'antropologia storica del mondo antico, abbiamo posto alcune domande. Apollo, fin dal titolo del suo libro, ha «il coltello in mano».
Cos'ha a che fare Febo dai riccioli d'oro con la violenza del sacrificio e dell'assassinio?
«Febo e anche Phobos: un dio che conosce il terrore, gli effetti psichici dell'assassinio, la follia, il sacrificio gli appartiene in quanto cerimonia, violenza padroneggiata. «Ma la violenza omicida può debordare, dare luogo a passioni tremende. La sua follia distruttrice, che Omero descrive all'inizio della letteratura occidentale, è meno olimpica o più umana di quanto la presenterà Platone, che di Apollo censura molti aspetti per renderlo funzionale alla sua filosofia».
Un Apollo funzionale alla filosofia è anche quello di Nietzsche, che ha opposto l'apollineo, la dimensione dell'armonia, al dionisiaco, la dimensione della demenza. Il suo libro nega quest'opposizione?
«La vicenda di Nietzsche è sconcertante, Alcuni anni dopo la prima, contestatissima uscita dalla Nascita della tragedia, l'autore ne pubblicò una versione nuova, con una postfazione, che oggi pochi rileggono, in cui si giustifica e spiega di avere costruito il libro a partire dalla lettura di Schopenhauer e non da una riflessione sulla cultura classica. «In fondo, il giovane filosofo non era veramente interessato ai due dèi di cui ha tanto influenzato il destino: il suo progetto filosofico era altrove».
Ma allora, cos'hanno in comune Apollo e Dioniso?
«Sono entrambi divinità "della trasgressione dei limiti" e vanno intesi noi loro spazio d'azione sacrale: la possibilità di purificazione e di affrancamento dalla violenza, Apollo la offre nella vita attiva, Dioniso nell'uscita dal mondo. Dioniso libera dall'impurità attraverso l'iniziazione e i misteri: è un dio mistico. Apollo è invece il dio della scelta cosciente, scelta di una via o, più precisamente, di un "genere di vita": è il dio del cammino o del percorso ordinato».
La sua lettura di Apollo tende a delegittimare l'uso che della mitologia antica hanno fatto i pensatori moderni, nella linea già adottata da Vernant per Edipo?
«Si, in quanto l'antropologia storica del mondo antico porta una lettura nuova, da cui il mondo classico emerge più complesso. Il moltiplicarsi delle informazioni archeologiche e epigrafiche ci ha mostrato tutte le possibilità di diversificazione della medesima divinità, l'infinita ricchezza del tessuto politeista. Apollo è sempre, certo, il dio "dal bel corpo maschile", l'Apollo del Belvedere, ma vi è anche un Apollo "insieme di pietre appuntite", quasi aniconico, cosi come Dioniso può essere rappresentato da una stele e una maschera».
Sembra che lei stia descrivendo divinità africane.
«Certo. L'interpretazione di questa accresciuta massa di dati ci è permessa proprio dalla metodologia comparativa che accosta la Grecia alle altre civiltà: l'India come la Cina o il Giappone, l'Africa soprattutto. Perché non è da ricercare nel politeismo indiano, ma eventualmente nello società africane un modello simile a quello greco».
Apollo, oltre che distruttore, è anche civilizzatore, e il suo nome in greco è legato al verbo «apellàzein», delimitare un luogo dove prenda forma un'assemblea». Il paragone con l'Africa può applicarsi anche a queste prerogative riguardanti la fondazione della politica?
«Soprattutto a queste. Il mio libro nasce dallo studio dei rituali di fondazione e dalla questione di come possa prendere forma uno spazio di decisione concernente la collettività. Attualmente sto studiando le pratiche di assemblea e come queste possano condurre alla democrazia. Sono gli africanisti a dare allo studioso delle origini della democrazia veri termini di paragone. Altri popoli oltre ai greci hanno inventato la democrazia, seguendo vie proprie: penso alle assemblee e allo stupefacente sistema democratico degli Ochollo, un popolo dell'Etiopia. E' a queste vie che dobbiamo guardare, se vogliamo aprire le prospettive dell'Europa e delle sue istituzioni al futuro».