Cappa, spada e eresia
Da Bisanzio alla Francia del Re Sole un giallo filologico attraverso i secoli: lo svela un'indagine di Canfora
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L’assassinio di un patriarca di Costantinopoli, commissionato da Richelieu al Gran Sultano. Un libro, intitolato Biblioteca, che fa riemergere dal «diluvio turco» autori greci creduti dispersi, ed è però opera di un autore maledetto, su cui pende l'anatema dei papi insieme al veto della gerarchia cattolica controriformista. Un'edizione semiclandestina, pubblicata nella Normandia della Fronda contro Mazzarino da tipografi ugonotti. Una tiratura manipolata, una pagina tagliata, una prefazione scomparsa, ma non del tutto, e una criptica sigla rimasta solo in quattro esemplari, il cui segreto stringe sotto l'ideale tutela del più eretico umanista bizantino, Fozio, quattro altissime autorità intellettuali del Grand Siècle. La biblioteca del Patriarca, Fozio censurato nella Francia di Mazzarino (ed. Salerno), l'ultimo libro di Luciano Canfora, storico dell'autocrazia antica e del totalitarismo contemporaneo, è il più bel saggio su Bisanzio mai apparso in Italia. E', inoltre, un vero giallo filologico, ambientato nella Francia del Re Sole; ed è un apologo sulla politica, sulla censura, sull'eroismo dell'eresia. «La storia occidentale è figlia degli "eretici delle eresie": è lì che nasce la libertà moderna», dice Canfora, citando Lessing. Alla domanda se non si senta anche lui un eretico della grande eresia ideologica del '900, ammette: «Se si scrive un libro è perché se ne sente intimamente il bisogno: è autobiografia camuffata attraverso la ricerca. Studiare l'impero romano, o il suo prolungamento bizantino, significa svelare l'impero contemporaneo: si tratti di Augusto o di Stalin, è indagando il lato comune di quella vicenda che io dissento». Le ricerche sulla pagina nascosta e sui quattro esemplari misteriosi introducono il lettore in una Rouen dalle architetture e atmosfere arcane, allargando l'indagine a quella che Canfora definisce «una sorta di massoneria foziana» formata da bibliofili, bibliologi e bibliognosti, stampatori e filosofi: borghesi illuminati, filobizantini, ugonotti e spesso filogiansentisti, ma anche amici di Mazzarino. Un circuito discreto se non segreto di intensa corrispondenza filologica e di scambi di informazioni bibliografiche mantiene questi savants, catalogatori instancabili, in contatto stretto con l'Inghilterra di Newton, la Germania di Leibniz, l'Olanda di Bayle, legandoli in un circolo esiguo, il cui dialogo fonda però il pensiero dell'Europa. A quei tempi una rete di quasi clandestina complicità è tesa a proteggere dalla brutalità della storia e della politica la sopravvivenza dei dotti e dei loro inestimabili libri: alla metà del '600 la modernità non ha ancora definitivamente disperso e emarginato le élites erudite. Per l'Internazionale dei Dotti Fozio - «il primo Lutero», il patriarca di Costantinopoli che in pieno Medioevo negò il primato del papa di Roma - diviene il simbolo di una libertà di pensiero basata sulla religione del libro e del suo uso diretto, senza mediazioni né vagli ecclesiastici: la stessa praticata da Lutero sul Libro per eccellenza, la Bibbia. Il protagonista storico della narra Dibattito a Torino Gli operai italiani di Hitler zione di Canfora, il misterioso Presbitero di Rouen, filologo filogiansenista poi divenuto certosino e celato sotto molti nomi, propone della Biblioteca un'edizione impeccabile. Ma la censura arriva fino a lui, in una recrudescenza promossa dalla nuova classe notabile provinciale. «La censura, si sa, è un meccanismo inarrestabile che si autoalimenta e che per slittamenti progressivi può investire tutti, anche gli stessi censori, presi fino all'autolesionismo dal sottile compiacimento di manifestare il maggiore zelo». La «mancanza di faziosità», la tolleranza dei dotti di qualunque parte politica rispetto ai politici puri è il Leitmotiv del libro. Tutti - ebrei e protestanti, giansenisti e gesuiti - ascoltano tutti. «Questo», ammette Canfora, «è un mio pallino ed emerge sottocutaneo nel libro. Tutti i miei personaggi vivono a stento il rapporto con le loro gerarchie. E' però fragile, la In alto il processo a Fozio in una miniatura della «Cronaca» di Skytzes Il patriarca di Costantinopoli in pieno Medioevo aveva osato negare il primato del papa di Roma tolleranza dei dotti, non appena l'autorità si fa viva fanno un passo indietro: come, dopo i rimproveri di Possevino e Bellarmino, il gesuita che per la prima volta osa tradurre in latino la Biblioteca, Schott; come il suo Fozio, funambolo umanista a Bisanzio, anche lui inchiodato tra destra e sinistra dai fanatici del suo stesso schieramento». Fozio è un eretico della sua eresia: viene condannato per la sua troppa apertura mentale. «La Biblioteca non è solo», spiega, «lo schedario di un uomo geniale. E' una conquista controcorrente, il salvataggio dalla censura, e dunque da un totale e definitivo naufragio, di una serie di testi antichi al limite dell'eresia. Fu Leibniz, anche lui appassionato di Fozio, ad accorgersi e a compiacersi del riferimento, nel capitolo su Clemente Romano, ai "mondi oltre l'Oceano": tema che va a finire dritto nell'eresia, basti pensare a Dante e alla fine di Ulisse». Tra colpi di scena, guerre e sedizioni, assassini di patriarchi, glosse nascoste e biblioteche scomparse, lettere e diari, schede bibliografiche e documenti anagrafici contraffatti, nomi falsi e noms de plume, mascheramenti e disvelamenti, il libro di Canfora vede scatenarsi nelle sedi dei dotti una peripezia in cui le nobili vittime da salvare sono i libri e gli eroi soccorritori sono eruditi compassati, anche se Eretici delle rispettive Eresie, un po' come il loro moderno evocatore. «Ma non bisogna dimenticare», conclude Canfora sorridendo, «che i miei eroi erano tutti degli spadaccini». Alla Dumas? «Alla Cyrano, piuttosto».