Tucidide, il giallo del golpe ateniese
Canfora diventa detective e ricostruisce la congiura nata all'ombra di una miniera d'oro
Articolo disponibile in PDF
Appena stampato da un editore francese Le mystère Thucydide. Entquéte à partir d'Aristote (Editions Desjonqueres) di prossima pubblicazione anche in Italia, il libro controcorrente dedicato a Tucidide da un grande filologo classico, Luciano Canfora, intreccia erudizione e induzione poliziesca partendo da misteriosi e appassionanti elementi. Un colpo di Stato organizzato nella città di Atene alla fine del V secolo da 400 intellettuali (xynetòi). Un processo politico clamorosamente demagogico, in cui il capo della rivoluzione fallita, il grande avvocato Antifonte, pur sostenendo «la migliore difesa capitale della storia», viene condannato e giustiziato. Un grande storico, Tucidide, che dissemina nel suo capolavoro, la Guerra del Peloponneso, informazioni segrete provenienti dal consiglio dei cospiratori, e che verrà assassinato mentre le sta affidando alla scrittura, transfuga nelle sue proprietà in Tracia contigue a ingenti giacimenti d'oro. Un carico di lingotti provenienti da quelle miniere, destinati alle casse della democrazia ateniese sconvolta dalle lotte di potere e dalle conseguenze della guerra fallita. Un grande filosofo, Aristotele, che lascia una breve testimonianza, capace di sventare però la macchinazione di quanti, attraverso i secoli, hanno voluto dissimulare la presenza di Tucidide ad Atene e disperdere le sue informazioni riguardo a quella che già allora fu chiamata metastasis: la prima rivoluzione oligarchica. Non è un caso che nei titoli dei migliori libri di filologia classica ricorrano - da secoli e forse inconsciamente - parole come «indagine», «inchiesta», «mistero». Il metodo induttivo in sé, va detto, ha una parentela strettissima con quello filologico: entrambi nascono nella Oxford di fine '600, l'uno con John Locke, l'altro con Richard Bentley, l'autore dell'Epistula ad Millium, il manifesto della filologia. Se il giallo è la forma che ha assunto in letteratura il confronto col mistero, e se non può non misurarsi con l'Atene di Pericle e Alcibiade, Tucidide e Senofonte chi vuole sfidare il mistero della storia, il suo racconto finirà inevitabilmente per tingersi, come quello di Canfora, di giallo. Un'accusatoria «Tavola delle alterazioni arbitrarie», operate da filologi antichi e moderni sulle fonti, conclude il libro. «I falsi sono la norma, oserei dire, e il genuino è l'eccezione - spiega Canfora -. Alla fine del cosiddetto «impero romano d'Occidente», in Gallia i commentarii di Cesare circolavano sotto il nome di Svetonio, e ancora oggi è conservato ad Amsterdam un egregio manoscritto del IX secolo in cui è presente lo scambio di attribuzione. Quando mancava un pezzo, poi, lo si inventava serenamente, come nel caso dei discorsi di Demostene. Gli antichi avevano un'idea di «falso» diversa dalla nostra. La falsificazione moderna è però meschina: riscriviamo gli autori - una parola qua e là - quando non quadrano con l'idea che ci siamo fatti di loro. Su tutta l'indagine aleggia l'assassinio di Tucidide, sul quale tuttavia il libro non formula ipotesi esplicite. «Nel 394 a. C. l'esercito di Agesilao re di Sparta, farcito per giunta di mercenari avidi e senza scrupoli, rientrava precipitosamente dall'Asia in Grecia - continua Canfora, confidando una congettura su quella misteriosa morte -. Si acquartierò per breve tempo ad Amfipoli. Un ricco signore, Tucidide, oramai ritirato nei suoi possedimenti e intento a limare l'opera che narrava la fine dell'impero ateniese, era lì: una facile preda. Che cosa significasse il passaggio di un esercito al tempo della guerra dei trent'anni lo sappiamo dal Simplizissimus. Dal finale dell'Anabasi di Senofonte sappiamo come facevano razzia i mercenari greci. E' in quell'occasione che si può collocare la fine traumatica della vita dello storico. Le sue carte furono "messe in salvo" da un illustre mercenario del seguito di Agesilao: si chiamava Senofonte».