Il “Princeps e il gioco degli equivoci”
Il Fai celebra Augusto
Articolo disponibile in PDF
Nel 1937 Mussolini celebrò il bimillenario della nascita di Augusto con un’epocale mostra in cui attualizzava il riordino statale del nuovo ordine imperiale romano in quello dell’“ordine nuovo” fascista. Ben diversa, antideologica, di raffinata consapevolezza storica e filologica, è stata quest’anno, nel bimillenario della morte, la celebrazione della memoria del princeps offerta dalla mostra curata da Eugenio La Rocca e da poco chiusa alle Scuderie del Quirinale. Adesso il FAI celebra Augusto con un omaggio primaverile ai ‘suoi’ luoghi meno avveduto nei toni. Il percorso “sulle tracce di Augusto”, stando alle dichiarazioni del presidente Carandini, dovrebbe indurre gli italiani a trarre ispirazione dall’opera di “rifondazione e ristrutturazione” dello stato attuata dal primo imperatore. Sarebbe “una dedica all'uomo che ha segnato una pausa nella vorticosa espansione dell'impero romano”.
Alla base della pacificazione augustea, costellata in realtà di violenze e guerre, fu una mistificazione ideologica che scandì l'espansionismo dell’impero in presunte, per usare un termine attuale, missioni di pace: “pacificazioni” è l'appellativo che le antiche fonti e i moderni manuali di storia danno alle guerre della pax Augusta, dove peraltro le legioni romane non sempre ebbero la meglio, come nel disastro di Teutoburgo (“Varo, ridammi le mie legioni”).
Il figlio adottivo di Cesare, il virtuoso Ottaviano, basò il suo potere sul “consenso universale” di senato e popolo. La sua ascesa al potere era stata in realtà scorretta, come sottolineò Tacito. La sua insicurezza restò tale che, racconta Seneca, “andava in senato con la corazza sotto la toga”. Al nuovo patriottismo occidentale e all'esaltazione della missione civilizzatrice globale del “modo di vita romano” faceva riscontro una politica interna imperniata sulla restaurazione dei culti religiosi e dei valori tradizionali di una romanità arcaica e moralista, dominata peraltro dal familismo e dall'instradamento dei capitali dei grandi elettori e dello stesso patrimonio personale nelle imprese di stato e negli appalti delle nuove province colonizzate.
E’ splendido che in un giorno di primavera il FAI ci racconti il fasto e le imprese di Augusto, ma attenzione a “metterci tutti insieme, con i grandi del passato, costruendo un futuro”, come esorta il suo presidente. Il passato si può e si deve frequentare e amare, ma senza idealizzarlo, se non si vuole che qualcuno torni, un giorno, a ideologizzarlo.