Divinità e potere a Roma. Augusto messo a nudo
Duecento capolavori alle Scuderie del Quirinale nel bimillenario della nascita dell’imperatore
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“In Augusto ammiro più le battute che ha sopportato di quelle che ha detto”, scrive Macrobio nei Saturnali. “Le amava, purché non violassero la dignità e il decoro”.
Il pudico principe, il dominus tutto decoro, il severo — tristisper Ovidio — pater patriae, il pontifex massimo, in pubblico e nelle ipostasi marmoree della sua autorappresentazione — che fu tale in senso stretto se sul letto di morte, come narra Svetonio, chiese agli astanti di applaudire la sua ‘commedia’ — amava mostrarsi meticolosamente abbigliato, quando non togato e capite velato come nelle statue di Palazzo Massimo o di Ancona.
Fa una certa impressione vederlo completamente nudo. Ma è così che audacemente e teatralmente si presenta, un Augusto messo a nudo nell’illusionistico striptease della storia dell’arte, al pubblico della grande mostra aperta da domani al 9 febbraio alle Scuderie del Quirinale, dove l’Augusto di Prima Porta — il braccio alzato a chiedere silenzio, i bei piedi eroicamente scalzi, le ginocchia scoperte dalla gonna militare, la lorica istoriata di immagini di propaganda e appena sfiorata dal paludamentum che ricade molle sul polso che regge le lancia — è per la prima volta affiancato al suo diretto modello marmoreo: il Doriforo di Policleto.
La somiglianza con il candido nudo che è epitome del Canone classico greco — perfino nei tratti del viso — è straniante, l’intenzionalità della citazione certa. E ha ragioni altrettanto radicate nella costruzione d’immagine del principato augusteo, la cui esegesi al pubblico è al cuore del concept della mostra, esplicitato dal suo ideatore Eugenio La Rocca nel secondo dei saggi che firma nel catalogo Electa: “La costruzione di una nuova classicità”.
Che il linguaggio artistico del saeculum Augustum non sia classicistico ma “neo-classico” in senso proprio è suggerito fin dalla disposizione dei materiali, molti dei quali mai esposti e ora riuniti per la prima volta, come i rilievi di Medinaceli-Budapest. L’itinerario segue l’evolversi del pensiero politico del ‘divo’ fino alla morte (14 d.C.) e all’apoteosi intesa, con un occhio all’ideologia e l’altro all’antropologia del mondo antico, come creazione di un nuovo dio, cui è dedicata una delle più emozionanti sezioni, con l’epifania dell’immenso Augusto di Arles e con il saggio “Morte e apoteosi” di Annalisa Lo Monaco.
“Io non vivo del passato. Per me il passato non è che una pedana”, dichiarava Mussolini nella Sala dell’Impero della mostra che nel 1937 celebrò il bimillenario della nascita delprinceps con deliberata attualizzazione del riordino statale augusteo in quello dell’“ordine nuovo” fascista, come illustra Andrea Giardina, “Augusto tra due bimillenari”. Il primo imperatore, il maker stesso di quella durevole entità che i bizantini chiameranno “l’animale imperiale”, nel ricreare il suo novus ordo si servì del passato ma non certo in funzione restauratrice; un recupero ‘proattivo’ che i suoi intellettuali interpretarono in “un canone”, secondo Alessandro Schiesaro,“dalla straordinaria capacità di resistenza”: Virgilio e Orazio, Properzio e Tibullo, Ovidio e Livio, ma anche i perduti Cornelio Gallo e Vario.
Così, anche il linguaggio figurativo attinse alla classicità per riattualizzarla e non per imitarla freddamente, nonostante il giudizio tombale di Bianchi Bandinelli, ispiratore dei luoghi comuni novecenteschi sul classicismo augusteo che la mostra di Eugenio La Rocca mira a dissipare per sempre.
La legittimazione di ogni princeps, dal Medioevo all’età contemporanea, passerà sempre dal rinvio a Roma e al suo principe: per i duci e cesari novecenteschi come per altri meno cupi ascesi al ruolo imperiale dopo un percorso di cesarismo: Federico II, Lorenzo il Magnifico, più di tutti Napoleone.
Se nell’età napoleonica la creazione del Neoclassico segue la scoperta della scrittura e degli arredi pompeiani, il cortocircuito si enfatizza se si considera che i più belli sono augustei. La mostra ne presenta di straordinari, dal lussuoso braciere bronzeo con satiri itifallici, scoperto nei praedia diIulia Felix durante gli sterri borbonici di Pompei e noto già dal Settecento, agli sgabelli della domus del Graticcio di Ercolano, testimonianze di una vita quotidiana raffinatissima. Napoleone si ispirò a Augusto, e la costruzione anche qui di una nuova classicità conferma che nessuno ‘stile impero’ è mai restauratore, né è mai ideologicamente solo reazionario, ma in un qualche, non necessariamente gradevole modo anche rivoluzionario.
Lo è per esempio nell’esaltata celebrazione augustea della ‘pace’, nella visionaria celebrazione della vita rurale, nella delirante nostalgia per la fertilità dei campi e degli animali, pacificati come gli istinti umani, per un’età dell’oro che torna contrapposta alla tetra stagione delle guerre civili. Un momento ipnotico che si riflette nelle Georgiche di Virgilio come nei capolavori delle Scuderie: nel gruppo dei Niobidi, i cui frammenti sono per la prima volta riuniti, e secondo la loro disposizione nell’obliquo del frontone, o nei tre grandi rilievi Grimani di Palestrina, giustamente comparati, nell’economia compositiva oltre che nel soggetto, ai versi virgiliani: “Il rilevo della cinghialessa, uno dei momenti più emozionanti dell’arte antica, non è classicismo ma invenzione suprema” (La Rocca).