Arianna, il filo spezzato
Così la Signora della razionalità onnipotente è costretta a cedere alla follia di Dioniso
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Se nel cielo di fine estate, partendo dal timone del Grande Carro, vi spostate verso sinistra fino a individuare Boote e da qui scorrete verso l’alto, trovate un semicerchio aggraziato di piccole stelle. Il suo nome è Corona Borealis e secondo la tradizione antica è l’assunzione nel firmamento stellato della corona di Arianna.
Si racconta che Dioniso, dopo avere rapito Arianna sul suo carro per farne la sua sposa, afferra la corona che le cinge il capo e la scaglia in cielo. “Per immortalarla”, scrive Ovidio nelle Metamorfosi. Precisando, nei Fasti, che Arianna venne divinizzata da Dioniso con il nome di Libera.
Un nome interessante. In quel momento, la giovane Arianna aveva già una storia alle spalle. Era figlia del re di Creta Minosse, il legislatore, e di Pasifae, che si era innamorata di un toro e gli aveva partorito un figlio, il Minotauro. Se il fratello è l’incarnazione di ciò che di istintivo e bestiale è in noi, la sorella è tutto il contrario: l’incarnazione della forza dell’intelletto razionale. E’ lei, grazie all’espediente del filo — che rimanda ad Atena, la dea della ragione, patrona della tessitura —, a guidare Teseo fuori dal labirinto.
Rispecchiamento terrestre dell'ordine celeste — la danza degli astri in cielo, quella del labirinto in terra — il labirinto è metafora della ricostituzione dell'ordine perduto. Non a caso, è anche simbolo della democrazia, poiché si radica nel mito di fondazione della polis, labirinto «estroflesso»,: Teseo, superata la prova, darà ad Atene la prima costituzione democratica della storia. Ma più in generale è una metafora del pensiero umano: la conchiglia attraversata da un filo: il filo di Arianna, il ragionamento logico. «Se il viaggiatore errante prova la sensazione dell'infinito nel labirinto, il suo architetto — o architettatore — lo conosce come finito» (Rosenstiehl).A prima vista lo schema “classico” del labirinto cretese a dodici anse speculari ha qualcosa di anatomico, somiglia al calco di un cervello umano.
Ma Arianna, che di cervello ne ha da vendere, per amore di Teseo sfida il labirinto e firma con questo, non senza grande dolore, la condanna a morte dell’amato quanto apparentemente antitetico fratello. Teseo ha eseguito la sua missione grazie ad Arianna. Ecco dunque una sua prima definizione: Arianna è la padrona del filo del ragionamento, incarna la razionalità — virtù per i greci eminentemente femminile e senza la quale il coraggio maschile non può avere successo. Una qualifica in apparenza contrastante con quelle del suo salvatore e definitivo sposo Dioniso. E anche con quell’attacco di mania che è l’innamoramento. E’ per un “impazzimento” che la razionale Arianna non solo tradisce la propria famiglia, ma compie un atto di hybris micidiale: ciò che viene soppresso, nel Minotauro, è un elemento dell’umanità, quello istintuale e bestiale, che per gli antichi greci è un sacrilegio e ancora oggi per gli psicanalisti un errore sopprimere dall’orizzonte degli esseri razionali.
La nave di Teseo lascia Creta a vele spiegate e fa scalo in un’isola delle Cicladi, Nasso. La versione più nota e generica della storia è che, a questo punto, Teseo, semplicemente e inspiegabilmente, abbandona Arianna. La lascia sola, a piangere, sulla rupe di Nasso. Ed ecco che Arianna diventa l’incarnazione dell’abbandono. Un simbolo che, nella letteratura, è stato utilizzato per rendere conto di un’attitudine maschile tanto incomprensibile quanto frequente: abbandonare la donna dopo la seduzione. Ma non dobbiamo banalizzare Arianna, ridurla a emblema della donna abbandonata. C’è qualcosa di più nella Signora del Filo, che ha usato per disinnescare il sortilegio geometrico del più potente dei mandala, il labirinto.
Arianna non è un’Ifigenia, non viene sacrificata di proposito. Sull’isola di Nasso, commette qualcosa che oggi si chiamerebbe un lapsus. Pur sapendo che la nave deve ripartire, cade in un sonno profondo, la testa rovesciata di lato, il braccio nudo che la cinge completamente, come la vediamo nelle sculture antiche. Arianna, a Nasso, anzitutto si addormenta. E’ solo al risveglio che, i piedi scalzi nel bagnasciuga, come la descrive Catullo, vede allontanarsi le vele di Teseo. E’ orripilata, disperata, condannata a morte in un’isola sperduta.
Perché Arianna si è addormentata? da cosa è nata questa improvvisa interruzione della coscienza, nella Signora del Filo Logico? E’ qui, comunque, che interviene il Dio dell’estasi, il Dio che spossessa dell’Io. Il suo carro guidato dalle fiere, scortato dalle baccanti, si profila nel cielo, la afferra. Arianna è rapita, in tutti i sensi possibili del termine.
Salendo sul carro di Dioniso, Arianna diventa ancora una volta regina, ma è un'altra sovranità rispetto a quella in cui è nata e tanto più a quella che le è stata promessa da Teseo. E’ una sovranità in cui non si è più sovrani di sé stessi. E’ un dominio che non è più dominio di sé, ma fusione col tutto, e comunque con tutto ciò che non è l’io razionale, di cui Arianna era fino a poco prima l’incarnazione estrema. Così estrema da farla avvicinare a una frontiera, a una soglia.
Quando Dioniso afferra il diadema regale che cinge la fronte di Arianna e lo lancia in cielo, non lo fa per affermare la regalità di Arianna, per renderla eternamente visibile. No, quella corona il Dio la getta via, insieme al dominio che rappresenta: la sovranità sull’Io.
Quel diadema aperto, slacciato, nel cielo notturno, è un simbolo potente: ogni corona è illusoria una volta che si sia entrati nel regno di Dioniso. Ma non si entra nel regno di Dioniso se non se ne ha già il sospetto: conscio o inconscio, espresso sotto forma di atto mancato. Come il sonno che fa sì che Arianna, a Nasso, non sia stata lasciata, ma si sia fatta lasciare. Per essere rapita non da un banale, spergiuro, umano Teseo, per passare non da un rango regale illusorio a un altro illusorio rango di questo mondo, ma per uscire dal mondo reale, di cui la ragione può superare perfino i labirinti, ma non l’insensatezza e la crudeltà. Di cui non si può altrimenti vincere il tedio e il dolore.