Silvia Ronchey

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Recensioni

Storia e memoria. Perché il passato oggi fa tendenza

La celebre bizantinista Silvia Ronchey illumina l'attualità del Tardo Antico in un libro potente

31/01/2018 Vera Fisogni

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La Provincia

Antico è spesso sinoni­mo di vecchio, inutile. Non per Silvia Ronchey, classe 1958, bi­zantinista e cattedratica al­l’Università di RomaTre, colla­boratrice di “La Repubblica”, con alle spalle una tv di qualità che molti rimpiangono (“L’Altra Edicola”, RaiDue), saggi tradotti in molte lingue e un’intensa opera di divulgazione culturale. E grazie a lei, ad esempio, se gli italiani hanno conosciuto e ap­prezzato il pensiero dello psico-analista-filosofo James Hill­man. Oggi è in libreria con “La Cattedrale sommersa. Alla ri­cerca del sacro perduto” (Rizzo­li, 2581 pag., 19 euro).

 

Lei sostiene che non esiste il “Medio Evo”, né i secoli bui: esiste solo l’antico con le sue rinascenze. Perché?

 

Mi sono posta l’obiettivo di dis­sipare i pregiudizi o malintesi nati da interferenze nella tra­smissione dei   saperi o da vere falsificazioni. La tradizione an­tica è sempre viva in noi, anche se ignorata o rimossa. Scriveva Borges che siamo in un punto imprecisato della decadenza dell’Impero romano. L’epoca che stiamo vivendo ricorda mol­to da vicino il Tardo Antico.

 

Come sì spiega questo ritorno?

 

Da storica ho una visione ciclica delle epoche e credo che in que­sto momento il baricentro della storia si stia spostando verso Est. Era accaduto proprio nel Tardo Antico: nel IV secolo, Costantino, seguendo le tendenze del suo tempo, si spostò a Co­stantinopoli. Prima ancora c’era stata una ciclicità in senso oppo­sto, che aveva portato dal­l’Oriente alla civiltà Greco-Ro­mana.

 

L’incontro tra Oriente e Occidente e il passato visto con gli stimoli del presente sono al centro del libro.

 

Quello che manca ai politici e agli osservatori è la profondità del tempo. Questo, secondo me, è un appiattimento provocato da un discredito gettato sul pas­sato, che è figlio degli anni ’70.

 

Nel libro lei ricorda l’emarginazione di pensatori come Elemire Zolla.

 

Io sono cresciuta con questi “fratelli maggiori” che erano i sessantottini. Quella cultura lì apparteneva a una certa sinistra che condannava come borghese lo studio del passato.

 

A quali conseguenze ha portato?

 

L’onnipresenza del presente ci ha portato a guardare a un’at­tualità senza lo spessore passa­to. Tucidide ci ricorda che, senza l’anamnesi della storia, non si possono fare diagnosi del pre­sente e prognosi del futuro.

 

Come ha maturato la scelta di dedi­care la vita allo studio dell’antico, in particolare, della cultura bizantina?

 

Non è stata una scelta ideologi­ca, ma personale. Frequentavo il liceo Visconti al centro di Ro­ma ed c’erano sempre assem­blee, collettivi, scioperi. Una moda borghese, tutto sommato; un modo per non far nulla da parte degli studenti e dei profes­sori. Così io passavo il mio tem­po nelle biblioteche, dove il mio spirito di ribellione verso quel conformismo era finalmente appagato. Girare con i testi dei poeti latini, era eccentricità gio­vanile e insieme una sfida. Stu­diando, ho scoperto che l’anti­chità non finisce. Esaurita la letteratura greca più nota c’era­no altri 11 secoli di cultura bi­zantina. Il Rinascimento segna il rinchiudersi di questa ellissi di cultura classica.

 

Cosa pensa della chiusura dell'Euro­pa nei confronti della Turchia?

 

Quando c’è stata l’idea di fare entrare la Turchia nella UE, ero d’accordo. Il Paese che ci aveva consegnato Ataturk era bruli­cante di cosmopolitismo. Oggi vedo che va verso l’integralismo, per colpa nostra. Sul tema di “cosa sia Europa” ricordo una discussione che ho avuto qual­che anno fa con il celebre storico francese Jacques Le Goff: soste­nevo che l’Europa storicamente si estende dove fu esercitato il diritto romano, cosa che a Bi­sanzio avvenne fino al XV seco­lo. Le Goff, dal canto suo, negava che l’Italia facesse parte del­l’Europa...

 

Tra le mistificazioni che lei denun­cia c’è quella nei confronti del­l’IsIam.

 

L’Isis ci ha dato una rappresen­tazione per così dire “barbarica” dell’Islam con mezzi narrativi occidentali (stragi, orrore, ese­cuzioni). Le prime vittime del fondamentalismo terrorista sono gli stessi musulmani.

 

Trascuriamo la contemporaneità dell’antico. Però serie tv come “Trono di spade” hanno successo con un mix di passato, futuro, Oriente e Occidente.

 

Penso che questa serie televisi­va (di Sky, ndr) sia proprio la spia del bisogno di passato che abbiamo. Ed ecco che spunta un mondo reinventato, che non è solo medioevale, anzi. Colpisce la coesistenza di memorie ono­mastiche, linguistiche, culturali di un passato pre medievale, classico. In “Game of Thrones” c’è moltissimo studio, in una sceneggiatura di impronta pop.

 

Tra i pregiudizi sul passato che lei ci fa superare, c’è anche quello che le donne non abbiano lasciato una letteratura fino al 1600.

 

Solo da poco la storiografia am­mette che Caterina da Siena non era analfabeta. In effetti, come poteva esserlo una donna che scriveva una lingua paragonata, da Nicolò Tommaseo, a quella di Dante.


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