La storia orientale che sedusse gli scrittori europei
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Paolo Cesaretti e Silvia Ronchey curano l’edizione della leggenda di «Barlaam e Ioasaf»
La versione bizantina della storia di Barlaam e Ioasaf ha tenuto a battesimo tutte le storie cristianizzate di Buddha. Redatta intorno al Mille, narra le vicende di Ioasaf, figlio del re dell’India Abenner, persecutore dei cristiani. Indovini profetizzano che dovrà un giorno governare il regno e mutarne la fede. Il re rinchiude in uno splendido palazzo il figlio, circondandolo di piaceri d’ogni specie: vuole sottrarlo a ogni nozione di peccato, malattie e morte; finché un giorno, uscito all’aperto, il giovane vede un lebbroso, un cieco e un vecchio e scopre l’esistenza della morte. Giunge allora al palazzo un anacoreta di nome Barlaam, dal quale apprende la dottrina cristiana, per lui nuova, e viene battezzato. Alla partenza di Barlaam, nonostante prove e ostacoli, Ioasaf persevera e converte al cristianesimo - anche grazie a una disputa pubblica - sia il regno che ha ereditato sia il padre Abenner. Alla fine il principe si fa eremita e raggiunge nel deserto il maestro Barlaam per condividere con lui l’ascesi. La narrazione fu diffusissima nel medioevo nelle culture d’Europa e d’Asia, e una nuova edizione italiana della versione bizantina, a cura di Paolo Cesaretti e Silvia Ronchey, è uscita nella Nuova Universale Einaudi («Storia di Barlaam e Ioasaf. La vita bizantina del Buddha», CCXX + 308 pp., 35€) sulla base del testo critico pubblicato nel 2009 da Robert Volk, che ha indotto i curatori a rivedere e accrescere la loro precedente versione (1980). Ne parliamo con i due studiosi della civiltà di Bisanzio. In che modo si è di recente dimostrato che autore del romanzo è Eutimio di Iviron? Chi era? Vissuto dal 955 al 1028, Eutimio era un nobile georgiano, che nel 1005 successe al padre Giovanni alla guida del monastero dei Georgiani (a Bisanzio si chiamavano Iberi: di qui Iviron), fondato sul monte Athos proprio dal padre. Forse per reticenza monastica, Eutimio fece di tutto perché il testo nascondesse la sua paternità. Ma già a fine Ottocento le affinità dell’opera con una precedente versione elaborata in ambito georgiano avevano indirizzato le ricerche; oggi il conforto delle tecnologie informatiche di cui si è avvalso Volk - ad esempio, i parallelismi tra il «Barlaam e Ioasaf» e le opere teologiche e agiografiche bizantine del X secolo - toglie ogni dubbio. Prof. Ronchey, nel suo ampio saggio introduttivo lei fa riferimento a Max Müller,lo studioso di fiabe che nel 1870 parlò a Londra di «Barlaam e Ioasaf»... Max Müller contribuisce allo studio dell’origine della vita bizantina del Buddha, ma, essendo scrittore cosmopolita, è il più affascinante portavoce delle proprie conoscenze orientalistiche e di quelle dei suoi predecessori. Lo considero uno dei protagonisti della storia di questa «storia delle storie» che è la vita del Buddha e del suo passaggio a Occidente, che era tuttavia avvenuto ben prima. Non pochi scrittori europei ne sono rimasti affascinati e influenzati... La storia di Ioasaf sarà uno dei libri più diffusi del medioevo globale, un «Siddharta» ante litteram elevato a potenza. Raggiungerà la Provenza dei catari e degli albigesi. Si trasmetterà alle prime «chansons de geste», ai poemi epici medievali. Sedurrà l’Italia più mistica, il Trecento senese di Caterina, e attraverso il «Novellino» si trasmetterà al «Decameron» di Boccaccio. Arriverà fino al teatro di Shakespeare. Nel Seicento vedràla suamassima fortuna, da Port-Royal alla Spagna, dove Lope de Vega ne trarrà il suo «Barlán y Josafá», fino a «La vida es sueño» di Calderón dela Barca. È attraverso Calderón che la trama della vita del Buddha si trasmette alla letteratura otto e novecentesca.