L’atteso ritorno del Buddha venuto da Bisanzio
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Celebriamo con gioia un grande ritorno, un’opera della quale si cominciava ormai, oltre un trentennio dopo la sua prima edizione, a sentire la mancanza. Nel 1980, Silvia Ronchey e Paolo Cesaretti pubblicavano per i tipi della Rusconi una Vita bizantina di Barlaam e Joasaf che fu un grande successo e nella quale era facile identificare i tratti della leggenda relativa alla vita del Buddha, trasformato in santo cristiano. Da allora, gli studi orientalistici e le ricerche sulle varie forme di acculturazione buddhistico-cristiano-musulmana hanno fatto sostanziosi progressi, tradotti in un’imponente bibliografia e in una intricata avventura testuale. La Ronchey e il Cesaretti hanno fatto stoicamente di necessità virtù: e si ha in ultima analisi l’impressione che, riscrivendo completamente il loro lavoro del 1980, si siano perfino divertiti. È comunque senza dubbio meritoria questa loro Storia di Barlaaam e Ioasaf. La vita bizantina del Buddha che esce adesso nella prestigiosa «Nuova Universale Einaudi» e che ci fornisce una versione della leggenda bizantina molto diversa da quella del 1980. La leggenda nasce nel mondo bizantino del X- XI secolo e presto entra anche nel circolo dei racconti riferiti o riassunti in Occidente fino a ispirare Giacomo da Varazze, Giovanni Boccaccio e Shakespeare, mentre in Russia giunge a interessare Tolstoj. La leggenda indiana della vita del Buddha approdò a Bisanzio attraverso strade intricate, che passavano per il Caucaso e per il Monte Athos, ma che soprattutto erano state smistate attraverso testi musulmani di segno sciita- “ismailitico, eterodosso rispetto allo sciismo maggioritario.
È molto diffusa nel mondo di oggi una sommaria koiné buddhista, sostenuta da molti luoghi comuni di quelli alimentati da la cultura new age, che sembra contrapporre alla spiritualità cristiana, ritenuta frusta e superficiale, una ben altrimenti profonda, rigogliosa e radicale cultura buddhista, la quale sarebbe addirittura più adatta del cristianesimo ad affrontare i problemi esistenziali e a diffondere una visione “umanitaria” ispirata all’amore e alla compassione. Il testo studiato dalla Ronchey e dal Cesaretti dimostra che, al contrario, tra buddhismo, Islam e cristianesimo la circolazione dei testi e delle tematiche, quindi il dialogo fatto di articolazioni e di differenze, ma anche di elementi comuni, era molto antica.
La vicenda di Barlaam, come quella del Buddha che è effettivamente il suo modello, racconta di un principe indiano che, fuggendo dalla falsa gioia e dalla ingannevole perfezione del palazzo paterno nel quale non esistono né male né dolore, s’incontra al contrario con l’uno e con l’altro che signoreggiano il mondo e attraverso la loro contemplazione e il loro superamento giunge alla perfezione ascetico-mistica. La ricchezza di questo testo e la significativa importanza delle digressioni – secondo una tecnica che per molti versi ricorda, e non a caso, Le Mille e Una Notte – lo rendono un modello fondamentale della letteratura agiografica cristiana sia orientale sia occidentale e ci aiutano a cogliere quella sostanziale omogeneità culturale che prima dell’età moderna, attraverso la pluralità delle tradizioni e la complessità delle variabili, ha caratterizzato la cultura eurasiatica.