Buddha, santo cristiano
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Nella vasta area multiculturale e multietnica dell’impero bizantino, tra il X e l’XI secolo, il nobile georgiano Eutimio, monaco ed eremita del monte Athos, traduceva in greco l’agiografia georgiana di due personaggi straordinari, Barlaam e Ioasaf. In quell’ambiente di integrazione e scambio tra culture, non stupisce naturalmente che un nobile circasso come Eutimio – che prima di abbracciare il monachesimo era stato ostaggio a Bisanzio, in seguito alle complesse relazioni tra impero bizantino e nobilità georgiana – avesse compreso da molto tempo che tradurre dal greco al georgiano scritti come i commenti ai vangeli di Giovanni Crisostomo o i testi di Basilio il Grande, o come molti classici della letteratura e della filosofia, quasi settecento operein tutto, fosse un’operazione importante e anzi fondamentale per il suo Paese d’origine . Ma in fondo non deve stupire neppure che, almeno nel caso della Vita di Barlaam e Ioasaf, egli abbia compiuto l’operazione inversa, cioè rendere disponibile al mondo greco-bizantino le vicende favolose di quel Ioasaf, già considerato santo in Georgia, che riecheggiavano «dalle più remote plaghe della Terra degli Etiopi, detta anche degli Indiani». Non si trattava però di una traduzione nel senso che abbiamo oggi noi del termine, ma di un vero passaggio tra culture, di una rinarrazione, arricchita della sapienza e di temi bizantini, con aggiunte tratte da Giovanni Damasceno, o ispirate ai Padri della Cappadocia, con allusioni alla vicenda iconoclasta, con l’assunzione di temi della cultura monastica e delle esperienze eremitiche. E a ben vedere, noi oggi lo sappiamo, il Balavariani, cioè l’agiografia georgiana tradotta da Eutimio, non era il racconto fiabesco della vita di un santo cristiano proveniente dall’India e dell’eremita che lo convertì, ma addirittura la versione cristianizzata della vita del Buddha. La vicenda del resto è chiaramente riconoscibile. Il figlio di un re viene costretto dal padre a vivere all’interno del palazzo reale, con una vita dolce e agiata, senza vera conoscenza dell’esterno. Il re vuole così impedire che a contatto con il mondo si possa verificare la profezia espressa al momento della nascita del principe, secondo la quale egli sarebbe divenuto un asceta (nella versione cristianail principe è destinato a diventare cristiano, mentre il padre, pagano, è un crudele persecutore di monaci e ha messo al bando il Cristianesimo). Ma il figlio, ormai adulto, ottiene di poter uscire dal palazzo almeno una volta e scopre con sgomento che esistono la malattia, la vecchiaia e la morte. Comincia così il suo risveglio, o la sua conversione, assecondata nella variante cristiana dall’incontro con l’eroico eremita Barlaam. Quella storia meravigliosa, riconoscibile ma porosa e sempre arricchita di nuovi dettagli e vicissitudini, come una favola sempre aperta, era arrivata nel regno caucasico peril tramite complesso e affascinante della mediazione islamico-ismailitica e persiana, che alla figura del bodhisattva indiano, che diventa appunto il Ioasaf cristiano – e che appare come una sorta di santo islamico, e in alcune varianti con i tratti di un vero e proprio Gesù indiano – aggiungeva la figura del maestro eremita, Bilawahr, il nostro Barlaam. Dopol’edizione critica del testo a opera di Robert Volk, del 2009, la storia di Barlaam e Ioasaf è ora disponibile e ritradotta initaliano grazie al bel lavoro di Paolo Cesaretti e Silvia Ronchey, che non solo aggiornano sul nuovo testo critico la loro classica traduzione, ma la corredano di un commento a piè di pagina, di una ricchissima introduzione, Il Buddha bizantino, di Ronchey, e di una dotta post fazione,Note sulla fiaba di Barlaam e Ioasaf, di entrambi i curatori. L’introduzione ha tra i tanti pregi anche quello di restituire la complessità delle mediazioni culturali e religiose che hanno accompagnato la leggenda della vita del bodhisattva indiano fin dentro la koiné bizantina, che a sua volta viene illuminata nei suoi caratteri di fusione di tradizioni, di circolazione di arti, di merci, di etnie, cioè nel disegno di assimilazione culturale e sociale che rappresenta la grande strategia millenaria di Bisanzio. E se il passaggio multiplo e vertiginoso dall’India alla koiné è iranico-islamico-georgiano, Ronchey mostra anche come dal testo greco l’agiografia si irraggia un’infinità di altre lingue e tradizioni, lo slavo ecclesiastico, che diventa il tramite per il russo e il serbo, e naturalmente il latino, ma anche l’occitano, il francese, il tedesco medievale, l’inglese, lo spagnolo, ma ancora l’arabo, l’etiopico, l’ebraico, il siriaco, fornendo materia per ulteriori elaborazioni ed esperienze letterarie e spirituali e filtrando fino dentro la letteratura moderna e contemporanea. È un mondo aperto, quello che la storia della diffusione di questa leggenda ci riconsegna. Ed è il modello di risveglio, rinascita, conversione, che la vita del Buddha riesce a raccontare con una incredibile capacità osmotica, come un percorso tra culture che a ogni passaggio si impossessa di elementi nuovi per renderli comuni, ma interpretabili diversamente a seconda del luogo di accoglienza. Se l’Occidente si appropria allora, per il tramite di Bisanzio e senza saperlo, della vita di Buddha, lo fa addirittura nelle forme canoniche della santità. Ioasaf/Buddha è incluso nel catalogo dei santi nel Cristianesimo georgiano già dal 1044 e successivamente riconosciuto, insieme a Barlaam, questo Siddharta dalle fattezze eremitiche, in tutto il mondo greco-ortodosso. E la Chiesa cattolica li inserisce entrambi nel martirologio nel 1583, in piena Controriforma, al giorno 27 novembre. Quando Marco Polo, alla fine del XIII secolo, viene a contatto nel suo viaggio in Oriente con il buddhismo non può fare a meno di dire che se Buddha fosse stato cristiano «sarebbe stato un grande santo». Quello che non sa è cheBuddha è già cristiano, anzi bizantino, e che presto sarà anche un santo cattolico.