Mille e una notte in Asia: la favola di un Buddha che divenne cristiano
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È la favola del principe indiano Ioasaf, rinchiuso dal padre in un fastoso palazzo affinché non conosca i dolori e i mali del mondo: il giovane si ribella, grazie al vecchio saggio Barlaam che gli apre gli occhi sulla natura e il fato umani, e abbandona il suo destino di privilegi per farsi mistico ed eremita. Si intitola Barlaam e Ioasaf e arrivò intorno all’anno Mille dall’Asia centrale a Bisanzio, e di qui in Occidente. Se vi ricorda la storia del Buddha è perché è la storia del Buddha: traslata, cristianizzata e destinata, insieme alle «parabole» che la inframmezzano, ad avere grande successo nell’agiografia medioevale e a diventare protagonista di una miriade di riscritture, dalla Chanson de geste a Boccaccio, da Calderòn de la Barca a Tolstoj, che nella sua Confessione si dice folgorato da quella vicenda, scoperta leggendo le «vite dei santi» ortodossi. Testimonianza eccezionale della ricchezza culturale e del lascito della civiltà bizantina, Barlaam e Ioasaf (Einaudi, pp. 350, euro 30) si riaffaccia in libreria (una prima pubblicazione italiana per Rusconi è degli anni Ottanta) in una nuova edizione curata da Paolo Cesaretti e Silvia Ronchey. Quest’ultima ci racconta come ha ricostruito la storia filologica del testo ma anche l’intrico dei rapporti filosofici e religiosi tra Oriente e Occidente. Mostrandoci come la fascinazione dell’Occidente contemporaneo per il Buddismo è, in realtà, una storia d’amore nata mille anni fa e «inscritta nel nostro Dna culturale». Tutti oggi conoscono il Siddartha di Herman Hesse. Ma Ronchey mostra come il fascino per il Bodhisattva risalga al primo medioevo. Dice infatti: «La storia dell’Illuminato è un’archetipo perfetto dell’iniziazione alla condizione umana. Ed è attuale anche oggi, perché di fronte alla tabula rasa del benessere, il principe non si fa ingannare dall’apparenza. Jorge Luis Borges, nel suo Che cos’è il Buddismo, sosteneva che la vita del Siddartha è più “povera” metaforicamente di quella di Cristo. Però ha un fascino universale». Ma come mai è stato così facile per l’Occidente «rubare» la storia del Buddha e occultare il fatto che era un mito non cristiano? «Perché il buddismo è un ortoprassi, un insieme di pratiche e narrazioni e non una religione codificata con un testo sacro. Per questo la vita dell’Illuminato, attraverso l’Iran islamico e la Georgia ortodossa, poté trasformarsi in Europa nella storia dei santi Ioasaf e Barlaam». L’introduzione al libro, ammette Ronchey, è anche un atto d’amore per la cultura bizantina. Come mai, allora, «bizantinismo» è oggi considerato un termine negativo? «La storia dell’Impero Romano d’Oriente è stata distorta dalla visione cattolica che ha dipinto Bisanzio come decadente. Ma può la decadenza durare dieci secoli? La verità è che quello bizantino fu un impero capace di integrare ed educare le élite dei popoli che annetteva. Quelli che noi chiamiamo barbari divennero parte integrante del potere, in un mescolamento di etnie e culture».