Piero della Francesca, bizantinismi sulla flagellazione
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Il mistero, l’enigma è così profondo e complicato che non bastano processi o duelli per trovare una soluzione soddisfacente. Così la sfida veneziana in punta di fioretto sull’interpretazione della Flagellazione di Piero della Francesca — che fa bella mostra al Palazzo Ducale di Urbino — tra Silvia Ronchey e Bernd Roeck, con tanto di autorevoli sostenitori, non ha avuto sostanziali vincitori. Qualche ferita superficiale, qualche accenno di sarcasmo accademico, ma non si è fatto scorrere il sangue. Il rischio vero è stato quello di «perdere di vista il quadro», avverte lo storico dell’arte Andrea Tonnesmann di Zurigo. Flagellazione come atto d’accusa nei confronti di Federico da Montefeltro per l’uccisione del fratellastro Oddantonio. E’ la tesi dello studioso svizzero Bernd Roeck e del suo libro «Piero della Francesca e l’assassino». E’ la tesi di una testimonianza di faccende urbinati, come la storiografia locale ha sempre sostenuto: «Da questo punto di vista — ha ribadito il professor Enrico Londei dell’Accademia di Belle Arti — non ci sono dubbi: la storiografia urbinate settecentesca è univoca». PER I SOSTENITORI della «scena del crimine», seppure criptata, sarebbe fondamentale avere delle pezze d’appoggio sulla committenza. Roeck insiste su Prospero Colonna, zio materno dello sfortunato Oddantonio massacrato giovanissimo dalla rivolta degli urbinati. Londei pare allargare il tiro alle sorelle di Oddantonio e sorellastre del «bastardo» Federico. Ovvero Violante, Agnesina e Sveva. Lo studioso svizzero costruisce la sua detective story attorno al ruolo di Pilato e Giuda nella «Leggenda Aurea» di Jacopo da Varazze. Sovrapponendola ai personaggi del quadro, soprattutto il trio in primo piano. «Non è Bessarione il primo dei tre, con barba e cappello — dice Roec —, bensì una trasposizione di Federico, che, nei panni di Giuda è, come nella Leggenda Aurea, traditore ed uccisore di un fratellastro». «La prova che il giovane angelicato al centro del trio — replica Silva Ronchey nel sostenere la tesi bizantina del suo bestseller L’enigma di Piero— non è Oddantonio la si desume proprio dal ritratto del ’500 ora ad Ambras. Si tratta di un tentativo di restyling dell’immagine di Oddantonio da parte di Francesco Maria II dellaRovere. Quale miglior occasione di far coinciderne l’immagine con quella della Flagellazione?». La ricostruzione, nel corso del faccia a faccia organizzato dal Centro tedesco di studi veneziani, del significato dell’opera di Piero della Francesca fatta da Silvia Ronchey convince di più il pubblico, in gran parte femminile: «Per capire il quadro non ci vuole un oftalmologo bensì uno psicologo — dice — che con una terapia elimini la rimozione di Bisanzio tipica dell’Occidente. Guardandola con gli occhi rinascimentali si può ben capire come sia intrisa del dramma di Bisanzio, in quegli anni minacciata e poi conquistata dai turchi». Per Ronchey non ci sono discussioni: «Nel Rinascimento la barba la portano solo i bizantini...». Così il cardinale Bessarione è il primo dei tre personaggi sul proscenio e Tommaso Paleologo, con i calzari rossi del Porfigeneto è Pilato che assiste alla flagellazione sullo sfondo: «Non può essere un problema di barbe e capelli», replica Gerhard Wolf (direttore del Kunsthistorisches Institut di Firenze). «La tavola è di carattere religioso — concludono l’olandese Bert Treffers e il tedesco Peter Schreiner — e può esprimere solo l’idea di una mobilitazione per salvare la cristianità d’Oriente». «Troppo piccola —replica Tonnesmann—, riguarda una vicenda intima, personale». Così personale che, secondo Roeck, il pittore potrebbe aver anche prestato le sue fattezze per il personaggio di destra (Borso d’Este o Ottaviano Ubaldini della Carda). Diavolo di un Piero.