Il processo è rinviato, «il mistero rimane»
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Silvia Ronchey aveva chiesto una sorta di processo alla sua «interpretazione bizantina» della «Flagellazione» di Piero della Francesca. Non l’ha avuta. Ha invece incassato, la docente di storia bizantina a Siena, complimenti e salamelecchi dai critici dell’arte e qualche elegante presa di distanza, in particolare di Carlo Bertelli, storico dell’arte e responsabile della mostra su Piero della Francesca in corso in questi mesi ad Arezzo. Non c’è stato processo perché la padrona di casa Lorenza Mochi Onori, gli storici dell’arte Claudio Strinati e Bert Treffers hanno ribadito la loro adesione intellettuale alla «brillante ricostruzione di Silvia Ronchey». Mentre Marco Carminati, giornalista de «Il Sole 24 Ore», ha puntato, soprattutto, sulla «capacità divulgativa espressa dall’autrice in “L’enigma di Piero”».
Così è rimasto il solo Carlo Bertelli a far capire chiaramente di non credere all’interpretazione «bizantina». «Se io nel ’400 avessi voluto esprimere un manifesto politico in un quadro mai mi sarei rivolto a Piero della Francesca — ha detto Bertelli —, mi sarei rivolto a Paolo Uccello e Filippo Lippi, ma sicuramente non a Piero». Il quale, ha convenuto nel suo elegante e divertente incedere, Claudio Strinati: «Era periferico alle grandi scelte di allora. Le sue cose più importante sono state realizzate in periferia, a casa sua, ad Arezzo, a Borgo San Sepolcro. Non a Firenze, che era il centro principale della cultura pittorica del periodo. Non a Roma, dove c’era il Vaticano». E ancora: «Cosa fa Raffaello quando diventa una sorta di sovrintendente alle belle arti in Vaticano? Elimina un affresco di Piero della Francesco per sostituirlo con uno suo».
In realtà il mistero di Piero della Francesca si interseca con il mistero di questa piccola tavola su legno che scompare di fronte alla magniloquenza di tanti quadri presenti anche a Palazzo Ducale. «Sappiamo poco di Piero», dice Strinati. E quello che si sa riguarda, in sostanza «l’amministrazione pubblica, i pagamenti, i rapporti con la municipalità». Non ci sono documenti di elaborazione, culturali si potrebbe dire. «Della “Flagellazione” non sappiamo alcunché — aggiunge Bertelli —, a questo punto sono anche convinto che sia stata dipinta prima della datazione corrente. Non sappiamo nemmeno cosa sia a livello tecnico». E Strinati, di rimbalzo: «Non sappiamo chi sia il committente, la data, a quale luogo e funzione fosse destinata». Insomma, non sappiamo — per certo — un bel niente. Eppure lo stesso Carlo Bertelli annuncia di aver cambiato idea: «Ho rivisto le mie opinioni sulla “Flagellazione” e ne scriverò presto». L’inglese con «piccolo attico a Roma» Bert Treffers è in sintonia con la Ronchey ed il suo parallelismo tra «flagellazione» di Cristo ed il declino di Bisanzio.
Così pur non essendo sotto processo, Silvia Ronchey deve incassare l’elegante critica di Bertelli: «Credo che questo quadro sia un po’ come la maledizione che Mefistofele infligge al Faust, che vedeva in ogni donna Margherita». Insomma ogni esperto può trarci una sua convinzione, senza che mai sia possibile dare una risposta definitiva. Silvia Ronchey non si scompone e continua la sua ricerca: «Intanto ad un anno dall’uscita del libro, registro che proprio ad Urbino l’individuazione di Bessarione (e Zoe Paleologhina) nello Stendardo del Duca, appena restaurato. Poi la stessa iconografia da me indicata per la “Flagellazione” è emersa a Firenze nel Virgilio riccardiano, una miniatura che rappresentava un altro mistero e che può avere una risposta». Nell’attesa di quella «prova definitiva» che Marco Carminati ha auspicato possa arrivare. Magari proprio da Urbino dove la «Flagellazione» è rimasta, dormiente, per secoli, prima di diventare un mistero della storia dell’arte.