L'enigma di Piero: soluzione a vista
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Ci può raccontare un quadro come fosse la fotografia di un grande giallo storico? Si può sciogliere un enigma di interpretazione lungo un secolo con sette-otto anni di ricerca incrociata tra storia bizantina e rinascimentale, arte e politica, letteratura e religione? Si può pensare che una tavola dipinta su legno, di modeste dimensioni, sia così importante per la storia dell’Occidente e abbia qualcosa di magico, una sorta di karma, che le ha consentito di evitare acquirenti d’arte francesi e inglesi, e di passare senza danni attraverso un clamoroso furto di capolavori?
Si può, se siete Silvia Ronchey, docente di civiltà bizantina all’Università di Siena,
fine storica ma anche donna capace di raccontare le storie che sa, fors’anche per l’esperienza televisiva. Si può perché Silvia Ronchey ci riesce benissimo nel suo «L’enigma di Piero», dedicato alla Flagellazione, ospite da più di un secolo della Galleria nazionale di Palazzo Ducale a Urbino, ma dedicato, sostanzialmente, al racconto di un periodo storico fondamentale, che ha inciso profondamente anche nella società in cui viviamo.
L’ultimo bizantino
Il declino e la scomparsa di Bisanzio, con la presa di Costantinopoli ad opera dei turchi nel 1453, è al centro del messaggio «politico» del quadro di Piero della Francesca. Dipinto che ha più letture sovrapposte, ma nasce in un ambiente, quello delle signorie italiane, permeato dall’importanza della sopravvivenza di Bisanzio anche per l’Occidente e dall’incapacità collettiva di affrontare il problema. «La caduta di Bisanzio è paragonabile — spiega Silvia Ronchey — alla distruzione delle torri gemelle di New York. Perciò occuparsi di quella storia è come discutere del presente. Nel 1453 la civiltà occidentale affronta un interlocutore pericoloso, allora, come forse oggi, non ha gli strumenti per comprenderlo fino in fondo. L’Impero Bizantino, da questo punto di vista, con i suoi undici secoli di storia multiculturale e multireligiosa, probabilmente li aveva. Ma l’occidente, dopo la caduta di Costantinopoli, ha pensato bene di dimenticare Bisanzio».
Insomma la Flagellazione è allo stesso tempo la fotografia di un lutto - la sconfitta di Bisanzio - ma anche l’esortazione a reagire, a combattere, a tentare di recuperare quella tradizione attraverso una crociata.
Il fallimento
E’ in sostanza l’immagine di un fallimento. «E’ evidente che l’elemento della sconfitta è incombente — aggiunge Silvia Ronchey —, ma c’è anche una esortazione al fare. Diciamo che rilancia sia l’ottimismo della volontà che il pessimismo della ragione». Il quadro, ma anche e soprattutto il libro, si racconta attraverso i personaggi, che sono tanti. Ma il cardine è Bessarione, il nobile e religioso bizantino, che diventa cardinale cattolica, combatte con ogni mezzo politico per ottenere il risultato: impegnare la Chiesa ed i principi italiani ed europei nel salvataggio di Bisanzio. Bessarione è una sorta di Richelieu, un uomo che utilizza tutti i mezzi politici a sua disposizione per arrivare al risultato finale. «E’ l’evidenza della capacità degli intellettuali di quell’epoca — spiega Silvia Ronchey — di essere anche uomini di Stato. Bessarione è così acculturato da farsi venire i calcoli renali a forza di leggere e copiare libri. Tanto che lascerà a Venezia una biblioteca ricchissima. Ma nel contempo porterà avanti un disegno preciso ai massimi livelli politici del Rinascimento».
Si fa cardinale cattolico il «basileus» bizantino. Lo fa mantenendo sempre gli abiti della sua tradizione: le vesti nere, i cappelli caratteristici, la barba lunga a due punte. E’ così che viene ritratto in diversi quadri, anche da Burruguete per la serie degli uomini illustri commissionata dal Duca Federico. E’ così che lo troviamo tra i tre personaggi in primo piano della Flagellazione. «La conversione è un mezzo non un approdo, Bessarione rimarrà sempre un bizantino», spiega l’autrice.
L’eredità di Bessarione
Alla fine non riuscirà nell’intento, nonostante due concili organizzati in Italia per superare le divergenze religiose tra cattolici ed ortodossi e per riunire lo scettro di Costantino ed il soglio di Pietro. Bessarione esce sconfitto ed allora decide, nella sostanza, di attuare quello che potremmo definire il «piano B». Fa sposare l’ultima erede della dinastia dei Paleologhi, Zoe, con il Gran Principe di Russia. «Riaffidando così — spiega Silvia Ronchey — l’ortodossia religiosa e l’eredità giuridica di Bisanzio al nascente impero russo. Sembra poco ma è tanto. Ci sarà l’impero zarista, ci sarà Stalin che era un bizantinomane. Il Papato viene sconfitto e di lì a poco subirà la Riforma protestante. Se fosse tornato a Roma il titolo di Costantino forse la storia d’Europa sarebbe stata diversa. Se fosse riuscita la crociata sognata da Bessarione non avremmo avuto l’attuale situazione dell’area Balcanica. Tutto sarebbe cambiato». Nel frattempo cambia il pontefice, Pio II (Enea Silvio Piccolomini), che tanto si era battuto per sostenere Bessarione e che aveva riportato le reliquie di S. Andrea in vista della riunificazione religiosa e politica, muore. Senza di lui cambia la politica di Roma, cambia l’atteggiamento della Curia e Bessarione pensa bene di togliere tutto alla Chiesa cattolica: l’eredità Bizantina, ma anche la sua, personale. I suoi inestimabili libri.
Freddy dal naso spaccato
E, come in un giallo che si rispetti, per ottenere questo risultato, Bessarione si rivolge a colui che era stato il principale oppositore dell’idea di una crociata per Bisanzio. Colui che si era opposto all’iniziativa patrocinata dal Papa e da Sigismondo Malatesta con tutta la sua forza e la sua capacità di influenza politica.
Si tratta di Federico da Montefeltro, che viene nominato esecutore testamentario della consegna della biblioteca di Bessarione alla Repubblica di Venezia. «Tra i due c’era un’amicizia di fondo, Bessarione sapeva che Federico era capace di tener testa ai vescovi romani che avrebbero voluto impadronirsi del suo tesoro. Si fidava del Duca di Urbino», racconta Silvia Ronchey. Federico aveva fatto cresimare da Bessarione suo figlio pochi mesi prima della morte del cardinale bizantino. Quest’ultimo aveva lasciato i suoi libri e probabilmente parte dei suoi beni ad Urbino contando di ritornarci. La morte lo coglie in viaggio, chissà cosa è invece rimase a Urbino? «Sappiamo dall’elenco della donazione— aggiunge la storica —, conservato alla Biblioteca Oliveriana di Pesaro cosa è finito a Venezia. Federico da Montefeltro è stato molto rigoroso e serio. Ma ciò non toglie che altro sia rimasto ad Urbino, a cominciare dalla tavola di Piero».
Il mistero urbinate
In sostanza la piccola tavola che ha interessato tanti storici dell’arte, altro non era che un dipinto portatile. Presumibilmente dello stesso Bessarione, che poi lo ha lasciato al molto amato Duca Federico. E non è poco. Visto l’interesse che il dipinto suscita dall’inizio del Novecento. «E’ un interesse che interpreta un senso di colpa collettivo, è il simbolo di una perdita per la civiltà occidentale. Un peso che ci portiamo dietro», chiosa Silvia Ronchey. Ma è anche un’opera con tanti piani di lettura: «C’è un messaggio elitario rivolto ai grandi politici ed intellettuali dell’epoca. Ma c’è anche un esoterismo platonico che dà un’impronta di sé al quadro. Elementi matematici, armonie prospettiche, accenni di cabale numerologiche, ancora da capire, ancora da studiare».
Esoterismo e sincretismo
D’altra parte non si può capire fino in fondo la «Flagellazione» senza pensare a Leon Battista Alberti, al Tempio Malatestiano di Rimini, ma anche alle Accademie Platoniche che sorsero a Firenze, Urbino, Roma e Rimini in quel tempo. Non si può svelare l’enigma di Pietro senza imbattersi in altri. Come quello di Sigismondo che torna dalla sfortunata crociata di Morea riportando le spoglie di Gemisto Pletone, che era già stato ospite del signore di Rimini in vita e che torna in riva all’Adriatico per riposare per sempre. E per consacrare ad un’idea rinascimentale il Tempio Malatestiano.
«E’ la prova dell’innesto — scrive Silvia Ronchey— della cultura bizantina. Il Rinascimento nasce dalle ossa dei bizantini. Senza l’esoterismo platonico non si decifra il Tempio Malatestiano e tanti influssi successivi».
L’altro enigma: Cleopa
La pesarese Cleopa, figlia ultimogenita di Malatesta dei Malatesta (detto dei Sonetti per la sua propensione alla poesia) signore di Pesaro, era stata adottata dal potente Carlo Malatesta, signore di Rimini e capo della famiglia. Rischiò di diventare imperatrice bizantina per aver sposato Teodoro II, despota di Morea, e secondo nella successione imperiale. Cleopa, a differenza di un’altra sposa occidentale dei Paleologhi, Sofia di Monferrato, rimase fedele alla sua «missione politica» di collante tra est e ovest. Aveva la fiducia del pontefice ma conquistò gli intellettuali platonici, morì troppo presto, improvvisamente, con risvolti misteriosi, quando secondo Silvia Ronchey, «dalle orazioni funebri bizantine si può capire che potesse essere anche incinta». Ma è di Cleopa il corpo mummificato rinvenuto qualche lustro addietro in un santuario di Mistrà?
Altre ricerche da fare
Sciolto, per quanto possibile, l’enigma di Piero, individuati dalla Ronchey tutti i personaggi coinvolti: Cristo rappresenta Costantinopoli flagellata dai turchi, l’uomo di spalle il sultano Mehmet II che guida i carnefici, sul trono Giovanni VIII Paleologo che come Ponzio Pilato cerca di salvare il salvabile. In primo piano ci sono Bessarione, il «porfirogenito» (nato nella porpora) Tommaso Paleologo e Niccolò III d’Este come protagonisti del disegno di riconquista di Bisanzio. Restano però altre ricerche da fare. Silvia Ronchey avrebbe anche un suo piano di lavoro: «Mi piacerebbe determinare se la mummia recuperata è davvero Cleopa. Ci vorrebbe un esame del Dna, sono già in contatto con il comune di Rimini, ma il problema è trovare un erede dei Malatesta vivente. C’è tanto da studiare sulla presenza di Bessarione e dei suoi allievi tra l’Adriatico ed il Montefeltro».
Nel frattempo possiamo consolarci con questa straordinaria permanenza della «Flagellazione» di Piero della Francesca a Urbino. «E’ inspiegabile come non sia stata acquistata da Lord Eastlake nell’Ottocento — conclude Silvia Ronchey —, oppure come sia passata indenne attraverso i secoli ed un clamoroso furto. Evidentemente ha un suo karma e le circostanze hanno voluto che rimanesse dove doveva rimanere. Nel posto giusto».